I Poli perdono ghiaccio ogni estate, in percentuale, e i più sereni d’animo si affretteranno a dire che noi “catastrofisti” siamo sempre pronti a gridare al lupo per ogni bazzecola. Eppure, tutte le principali testate scientifiche si sono ritrovate, loro malgrado, a dover diffondere una notizia tanto inattesa quanto imbarazzante: la scorsa estate, mentre noi cercavamo refrigerio tra gli ombrelloni della riviera o in un sorso di granatina alla menta, per la prima volta nella storia documentata il Polo Nord si è ritrovato completamente libero dai ghiacci, che loro malgrado si sono ritirati dai cocenti e onnipresenti raggi solari sulle lontane coste del Canada.
Quest’estate i giornali titolavano così: “L'Artico può essere circumnavigato, è la prima volta in 125mila anni” L’articolo spiegava che per la prima volta a memoria d'uomo sarà possibile circumnavigare l'intero Polo Nord. «Foto satellitari scattate due giorni fa mostrano che lo scioglimento dei ghiacci verificatosi la settimana scorsa ha finalmente aperto contemporaneamente sia il favoleggiato Passaggio a Nord-Ovest che il passaggio a Nord-Est. A dimostrarlo sono immagini scattate da satelliti NASA. Il Passaggio Nord Ovest, nel territorio canadese, si è aperto nello scorso fine settimana, mentre l'ultima lingua di ghiaccio che ostruiva il Mare di Laptev, in Siberia, si è disciolta qualche giorno dopo.»
Un evento clamoroso che, se da un lato corona il sogno secolare di generazioni di esploratori, navigatori e viaggiatori, dall'altro rappresenta un preoccupante segnale dell'accelerarsi del processo del riscaldamento globale. Negli scorsi decenni, in varie occasioni si è verificata la situazione dell'apertura dell'uno o dell'altro passaggio ma mai era accaduto che entrambe le due misteriose porte dell'artico si dischiudessero simultaneamente. Questo è solo l'ultimo segnale della crisi dell'intero ecosistema artico. Solo poco tempo fa, il National snow and ice data center (NSIDC) statunitense aveva informato che quest’anno l'estensione globale del ghiaccio artico è prossima a battere il record negativo, dello scorso anno, di 4,14 milioni di chilometri quadrati: un valore inferiore di oltre un milione di metri cubi al record precedente, fissato nell'estate 2005. In due anni, i ghiacci del Polo Nord si sono ritirati per un'estensione grande quattro volte l'Italia.
L’estate del 2008, i turisti sono stati fatti evacuare dal Parco Nazionale Auyuittung, nell'Isola di Baffin, la grande isola del Nunavut canadese situata a occidente della Groenlandia, a causa dello scioglimento dei ghiacci: "Auyuittung", in lingua inuit, significa "terra che non scioglie mai"... E sempre estiva è la notizia che nove orsi polari, rimasti senza habitat, sono stati visti nuotare in mare aperto, dopo un immenso crollo nel ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, in un'area che si riteneva ancora immune dagli effetti del global warming. Ma è la simultanea apertura del Passaggio Nord Ovest, intorno al Canada, e del Passaggio Nord Est, intorno alla Russia, a costituire un vero e proprio choc. Non accadeva, secondo i climatologi, da almeno 125mila anni. Dall'inizio dell'ultima era glaciale erano rimasti entrambi bloccati: nel 2005 si era aperto solo il Passaggio Nord Est, l'estate seguente era accaduto il contrario.
«I passaggi sono aperti, è un evento storico, ma con il quale dovremmo abituarci a convivere nei prossimi anni», ha confermato il professor Mark Serreze, uno specialista di mari ghiacciati del NSIDC, sottolineando però che le autorità marine dei Paesi interessati potrebbero essere riluttanti ad ammetterlo, per evitare di essere citate a giudizio dalle compagnie di navigazione, le cui imbarcazioni dovessero incontrare ghiaccio e subire danni.
Gli armatori però sono tutt'altro che disinteressati. Il “Beluga Group” di Brema, ad esempio, ha già fatto sapere che manderà navi dalla Germania al Giappone via Passaggio Nord Est, con un taglio netto di 4000 miglia nautiche, quasi 7.500 km , rispetto alla rotta tradizionale. E il premier canadese Stephen Harper ha già fatto sapere che chiunque volesse attraversare il Passaggio Nord Ovest dovrebbe fare riferimento ad Ottawa: un punto di vista, questo, che non piace agli USA, che considerano quella parte di Artico acque internazionali. I climatologi però rimarcano che simili dispute potrebbero essere irrilevanti, se il ghiaccio continuasse a sciogliersi al ritmo attuale. In tal caso, infatti, sarebbe possibile navigare direttamente attraverso il Polo Nord, completamente liberato dai ghiacci. Evento questo, che fino a poco tempo fa si riteneva possibile che dal 2070. Ora, però, molti studiosi indicano il 2030 come l'anno entro il quale l'Oceano Artico sarà completamente fluido in estate, mentre uno studio del professor Wieslaw Maslowski, della Naval Postgraduate School di Monterey, California, arriva a concludere che già dal 2013 il mare sarà completamente aperto da metà luglio a metà settembre. Il "punto di rottura", l'evento che ha ulteriormente accelerato il processo di scioglimento, è costituito dalla perdita-record di massa ghiacciata, dello scorso anno: le masse solide sono scese a un livello che non si attendeva fino al 2050, mandando all'aria tutti i calcoli prodotti fino a quel momento.
Quest’estate i giornali titolavano così: “L'Artico può essere circumnavigato, è la prima volta in 125mila anni” L’articolo spiegava che per la prima volta a memoria d'uomo sarà possibile circumnavigare l'intero Polo Nord. «Foto satellitari scattate due giorni fa mostrano che lo scioglimento dei ghiacci verificatosi la settimana scorsa ha finalmente aperto contemporaneamente sia il favoleggiato Passaggio a Nord-Ovest che il passaggio a Nord-Est. A dimostrarlo sono immagini scattate da satelliti NASA. Il Passaggio Nord Ovest, nel territorio canadese, si è aperto nello scorso fine settimana, mentre l'ultima lingua di ghiaccio che ostruiva il Mare di Laptev, in Siberia, si è disciolta qualche giorno dopo.»
Un evento clamoroso che, se da un lato corona il sogno secolare di generazioni di esploratori, navigatori e viaggiatori, dall'altro rappresenta un preoccupante segnale dell'accelerarsi del processo del riscaldamento globale. Negli scorsi decenni, in varie occasioni si è verificata la situazione dell'apertura dell'uno o dell'altro passaggio ma mai era accaduto che entrambe le due misteriose porte dell'artico si dischiudessero simultaneamente. Questo è solo l'ultimo segnale della crisi dell'intero ecosistema artico. Solo poco tempo fa, il National snow and ice data center (NSIDC) statunitense aveva informato che quest’anno l'estensione globale del ghiaccio artico è prossima a battere il record negativo, dello scorso anno, di 4,14 milioni di chilometri quadrati: un valore inferiore di oltre un milione di metri cubi al record precedente, fissato nell'estate 2005. In due anni, i ghiacci del Polo Nord si sono ritirati per un'estensione grande quattro volte l'Italia.
L’estate del 2008, i turisti sono stati fatti evacuare dal Parco Nazionale Auyuittung, nell'Isola di Baffin, la grande isola del Nunavut canadese situata a occidente della Groenlandia, a causa dello scioglimento dei ghiacci: "Auyuittung", in lingua inuit, significa "terra che non scioglie mai"... E sempre estiva è la notizia che nove orsi polari, rimasti senza habitat, sono stati visti nuotare in mare aperto, dopo un immenso crollo nel ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, in un'area che si riteneva ancora immune dagli effetti del global warming. Ma è la simultanea apertura del Passaggio Nord Ovest, intorno al Canada, e del Passaggio Nord Est, intorno alla Russia, a costituire un vero e proprio choc. Non accadeva, secondo i climatologi, da almeno 125mila anni. Dall'inizio dell'ultima era glaciale erano rimasti entrambi bloccati: nel 2005 si era aperto solo il Passaggio Nord Est, l'estate seguente era accaduto il contrario.
«I passaggi sono aperti, è un evento storico, ma con il quale dovremmo abituarci a convivere nei prossimi anni», ha confermato il professor Mark Serreze, uno specialista di mari ghiacciati del NSIDC, sottolineando però che le autorità marine dei Paesi interessati potrebbero essere riluttanti ad ammetterlo, per evitare di essere citate a giudizio dalle compagnie di navigazione, le cui imbarcazioni dovessero incontrare ghiaccio e subire danni.
Gli armatori però sono tutt'altro che disinteressati. Il “Beluga Group” di Brema, ad esempio, ha già fatto sapere che manderà navi dalla Germania al Giappone via Passaggio Nord Est, con un taglio netto di 4000 miglia nautiche, quasi 7.500 km , rispetto alla rotta tradizionale. E il premier canadese Stephen Harper ha già fatto sapere che chiunque volesse attraversare il Passaggio Nord Ovest dovrebbe fare riferimento ad Ottawa: un punto di vista, questo, che non piace agli USA, che considerano quella parte di Artico acque internazionali. I climatologi però rimarcano che simili dispute potrebbero essere irrilevanti, se il ghiaccio continuasse a sciogliersi al ritmo attuale. In tal caso, infatti, sarebbe possibile navigare direttamente attraverso il Polo Nord, completamente liberato dai ghiacci. Evento questo, che fino a poco tempo fa si riteneva possibile che dal 2070. Ora, però, molti studiosi indicano il 2030 come l'anno entro il quale l'Oceano Artico sarà completamente fluido in estate, mentre uno studio del professor Wieslaw Maslowski, della Naval Postgraduate School di Monterey, California, arriva a concludere che già dal 2013 il mare sarà completamente aperto da metà luglio a metà settembre. Il "punto di rottura", l'evento che ha ulteriormente accelerato il processo di scioglimento, è costituito dalla perdita-record di massa ghiacciata, dello scorso anno: le masse solide sono scese a un livello che non si attendeva fino al 2050, mandando all'aria tutti i calcoli prodotti fino a quel momento.
Pianeti in tempesta
Naturalmente queste notizie sono preoccupanti, specie per chi ha letto diverse antiche profezie su di un possibile cataclisma situato cronologicamente attorno al 2012, o per tutte quelle numerose persone che da tempo hanno dei sogni ricorrenti su di un’onda titanica che sommerge persone e città. Ma a chi afferma, come l’ex-quasi Presidente USA Al Gore, che i cambiamenti climatici sono unicamente colpa del nostro inquinamento, andrebbe spiegato che il fenomeno dei cambiamenti di clima non appartiene solo alla Terra, ma appare - con un bizzarro crescendo rossiniano - in tutti i pianeti del nostro Sistema Solare.
È di poco fa la notizia, alquanto sconcertante, della neve su Marte. Fino a ieri gli scienziati della NASA o gli esperti di astronomia di tutto il mondo, alla domanda se su Marte fosse possibile una bella nevicata, vi avrebbero risposto di no, accompagnando la loro affermazione scientificamente sicura al 100% con una smorfia di compatimento e l’atteggiamento superiore di chi spiega al nipotino un po’ lento nell’apprendere le cose fondamentali della vita. Pochi giorni fa, lo shock. Nevica su Marte, evento ripreso sia dalle sonde orbitali che da quelle sul suolo marziano, come la Phoenix. L ’evento è circoscritto a poche zone, e la neve si è sciolta prima di toccare terra, ma l’evento, stimato come “assolutamente impossibile” dagli astronomi, ha lasciato tutti di stucco. «Non si è mai visto niente del genere su Marte prima d'ora - ha dichiarato Jim Whiteway, docente di ingegneria spaziale dell'università di York, a Toronto (Canada) - ora siamo alla ricerca di possibili segni lasciati in passato dalla neve sul terreno». Il primo passo è stato cercare le tracce di antiche nevicate marziane nei campioni di terreno analizzati dal laboratorio Tega (Thermal and Evolved Gaz Analyzer) a bordo di Phoenix: i dati, rileva la Nasa , mostrano la presenza di carbonato di calcio e particelle simili a terra argillosa. «Sulla Terra la maggior parte dei carbonati e dell'argilla si sono formati solo in presenza di acqua liquida. Questo - secondo l'esperto - potrebbe confortare l'ipotesi di precipitazioni anche sul suolo di Marte».
Insomma gli scienziati “ufficiali” e accademici sono sempre pronti a smentire le ricerche di frontiera di chi cerca di trovare spiegazioni innovative e alternative a quelle ufficiali, salvo poi rimanere letteralmente senza parole e senza spiegazioni di fronte all’imprevisto. Persino sul sito della NASA, al riguardo, oltre una stringata spiegazione degli eventi, appare solo un laconico «Le analisi sono ancora in corso».
È di poco fa la notizia, alquanto sconcertante, della neve su Marte. Fino a ieri gli scienziati della NASA o gli esperti di astronomia di tutto il mondo, alla domanda se su Marte fosse possibile una bella nevicata, vi avrebbero risposto di no, accompagnando la loro affermazione scientificamente sicura al 100% con una smorfia di compatimento e l’atteggiamento superiore di chi spiega al nipotino un po’ lento nell’apprendere le cose fondamentali della vita. Pochi giorni fa, lo shock. Nevica su Marte, evento ripreso sia dalle sonde orbitali che da quelle sul suolo marziano, come la Phoenix. L ’evento è circoscritto a poche zone, e la neve si è sciolta prima di toccare terra, ma l’evento, stimato come “assolutamente impossibile” dagli astronomi, ha lasciato tutti di stucco. «Non si è mai visto niente del genere su Marte prima d'ora - ha dichiarato Jim Whiteway, docente di ingegneria spaziale dell'università di York, a Toronto (Canada) - ora siamo alla ricerca di possibili segni lasciati in passato dalla neve sul terreno». Il primo passo è stato cercare le tracce di antiche nevicate marziane nei campioni di terreno analizzati dal laboratorio Tega (Thermal and Evolved Gaz Analyzer) a bordo di Phoenix: i dati, rileva la Nasa , mostrano la presenza di carbonato di calcio e particelle simili a terra argillosa. «Sulla Terra la maggior parte dei carbonati e dell'argilla si sono formati solo in presenza di acqua liquida. Questo - secondo l'esperto - potrebbe confortare l'ipotesi di precipitazioni anche sul suolo di Marte».
Insomma gli scienziati “ufficiali” e accademici sono sempre pronti a smentire le ricerche di frontiera di chi cerca di trovare spiegazioni innovative e alternative a quelle ufficiali, salvo poi rimanere letteralmente senza parole e senza spiegazioni di fronte all’imprevisto. Persino sul sito della NASA, al riguardo, oltre una stringata spiegazione degli eventi, appare solo un laconico «Le analisi sono ancora in corso».
Tre cicloni su Giove
Intanto, adesso sono tre le Macchie Rosse di Giove. Quanti si sono interessati al gigantesco pianeta Giove, avranno certo sentito parlare della Macchia Rossa, un immenso vortice che viene osservato fin dal 1665 (la scoperta è attribuita al nostro Cassini, fors'anche preceduto l'anno prima dall'inglese Hooke) nell'atmosfera di questo mondo e che si presenta con apparenze cangianti, a seconda del livello che raggiunge tra i fitti strati nuvolosi che avviluppano la mostruosa palla planetaria di idrogeno e di elio che è Giove. La macchia può presentarsi più o meno nettamente delineata, talvolta si decolora e quasi sparisce, altre volte appare di un rosa-arancione più o meno carico. In dimensioni supera di tre volte il diametro della Terra, in cifre sono circa 40 mila chilometri. Sul perché si sia formata e continui a cambiare apparenze non è facile rispondere : la Macchia probabilmente è il frutto del continuo sfioramento fra le grandi bande che solcano il pianeta, al confine fra quella sudequatoriale e la "zona" più chiara che la affianca: da questo deriverebbe pure il suo moto di rotazione, che non è uniforme e si accompagna a una certa "deriva" della Macchia in longitudine, in un'atmosfera che è tutta in movimento.La macchia è alimentate sia dal calore che Giove riceve dal Sole che da quanto ne risale dal suo stesso interno, in cui predominano largamente composti di idrogeno e di elio, i due gas più leggeri.
In ogni caso, nel 2006 il telescopio spaziale "Hubble" individuò una seconda formazione lenticolare non lontano dalla Macchia Rossa e di dimensioni sensibilmente minori, che ricevette il nome di Red Spot Jr. Ma recenti osservazioni ne hanno messo in evidenza pure una terza, segnalata da Andrei Cheng dell'università John Hopkins: come è possibile che nell'arco di pochi anni siano apparsi questi oggetti la cui formazione chiama in gioco notevoli energie? E come si verifica tutto ciò? Il clima di Giove sta cambiando, forse è tutta l'atmosfera del pianeta che si scalda, come avviene oggi sulla Terra, dove si registra un notevole aumento di intensità e di numero degli uragani. C'è un perché di queste variazioni climatiche del gigantesco Giove? Forse le nuove macchie ci aiuteranno a capirlo, e non si esclude che possano fondersi, dando luogo a una macchia grandissima, come quelle talvolta apparse e osservate a lungo su Saturno, altro pianeta su cui si scatenano tali uragani. Quanto alle colorazioni rossastre, vengono attribuite a vapori di zolfo.
In ogni caso, nel 2006 il telescopio spaziale "Hubble" individuò una seconda formazione lenticolare non lontano dalla Macchia Rossa e di dimensioni sensibilmente minori, che ricevette il nome di Red Spot Jr. Ma recenti osservazioni ne hanno messo in evidenza pure una terza, segnalata da Andrei Cheng dell'università John Hopkins: come è possibile che nell'arco di pochi anni siano apparsi questi oggetti la cui formazione chiama in gioco notevoli energie? E come si verifica tutto ciò? Il clima di Giove sta cambiando, forse è tutta l'atmosfera del pianeta che si scalda, come avviene oggi sulla Terra, dove si registra un notevole aumento di intensità e di numero degli uragani. C'è un perché di queste variazioni climatiche del gigantesco Giove? Forse le nuove macchie ci aiuteranno a capirlo, e non si esclude che possano fondersi, dando luogo a una macchia grandissima, come quelle talvolta apparse e osservate a lungo su Saturno, altro pianeta su cui si scatenano tali uragani. Quanto alle colorazioni rossastre, vengono attribuite a vapori di zolfo.
I vortici polari di Venere
Ma le anomali climatiche non riguardano solamente Marte: già nel Novembre del 2006 la navicella europea «Venus Express» svelò dei giganteschi vortici atmosferici che si avvitavano intorno ai poli del pianeta Venere. Secondo alcuni ricercatori, i fenomeni sono interessanti in sé, ma diventano ancora più interessanti se messi a confronto con fenomeni analoghi che avvengono sulla Terra. La «planetologia comparata» è una delle tante nuove discipline scientifiche che l’esplorazione dello spazio ha reso possibile. L’atmosfera di Venere compie un giro intero del pianeta nell’arco di quattro giorni. La sonda della Nasa Pioneer Venus 25 anni fa scoprì il vortice polare Nord. Le immagini erano a risoluzione molto bassa, ma nel 2006 Venus Express ci mostrò particolari minutissimi. La cosa singolare è che questo ciclone Nord aveva due «occhi»: due tornadi in uno. Quando la sonda europea nell’aprile 2006 è arrivata in vista di Venere, subito gli scienziati dell’Esa sono andati a vedere se il polo Sud di Venere avesse un ciclone simile: e in effetti ce l’ha. Questi vortici polari, presenti anche su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, sia pure con diversa intensità, sono la chiave per capire come funzionano le atmosfere di questi pianeti. Ogni vortice risente, naturalmente, della Forza di Coriolis, una componente trasversale dovuta alla rotazione del pianeta. E poiché la velocità di rotazione varia molto da pianeta a pianeta (per esempio Giove ruota molto rapidamente e Venere molto lentamente), la Forza di Coriolis contribuisce al diverso aspetto dei vortici polari.
«Siamo però ancora lontani - dice Pierre Drossart, astronomo dell’Osservatorio di Parigi - dall’aver compreso la genesi dei vortici polari di Venere: qui la Forza di Coriolis è debolissima, e certamente ciò ha a che vedere con i due lobi in cui si suddivide il ciclone, formando i suoi due “occhi”. Il meccanismo preciso tuttavia ci sfugge».
«Siamo però ancora lontani - dice Pierre Drossart, astronomo dell’Osservatorio di Parigi - dall’aver compreso la genesi dei vortici polari di Venere: qui la Forza di Coriolis è debolissima, e certamente ciò ha a che vedere con i due lobi in cui si suddivide il ciclone, formando i suoi due “occhi”. Il meccanismo preciso tuttavia ci sfugge».
Agli scienziati il meccanismo di questi cicloni “sfugge”. Si tratta di una meccanica del sistema solare che Maya e antichi Sumeri avevano compreso benissimo, ma quando qualche ricercatore indipendente prova a farlo notare agli accademici, questi sostengono che è impossibile per dei selvaggi aver trovato soluzioni che a loro sfuggono. Un ottimo esempio in questo senso sono i Dogon. I Dogon sono una popolazione che vive vicino Mandiagara, 300 Km a sud di Timbuctu, nel Mali. Due antropologi, Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, li hanno studiati dal 1931 al 1952, e hanno descritto una cerimonia associata con la stella Sirio, che si tiene ogni 60 anni. Griaule e Dieterlen sostengono che i Dogon hanno diverse conoscenze sul sistema di Sirio che non è possibile ottenere se non con mezzi "moderni". In particolare conoscono l'esistenza di una stella compagna (Sirio B, indicata dalla freccia accanto alla luminosissima Sirio A), che ruota attorno a Sirio con un periodo di 50 anni, e che è composta di materia incredibilmente pesante. Sirio B è visible solo con un telescopio di discrete dimensioni, e la sua massa è stata determinata con tutto l'armamentario teorico dell'astronomia dell'inizio del secolo. Griaule e Dieterlen non fanno nessuna ipotesi su come i Dogon siano venuti a conoscere questi fatti. La storia ha avuto però un "boom" con un libro di Robert Temple, in cui questi ha ipotizzato che i Dogon conoscessero questi fatti da almeno 500 anni, e che li avessero appresi da esseri anfibi provenienti da Sirio. Altri "studiosi" ipotizzano che le conoscenze derivassero dagli egizi, e che questi ultimi avessero telescopi in grado di vedere Sirio B. Ad ogni modo, selvaggi 1, scienziati 0.
L’esagono di Saturno
Sempre nel novembre 2006 è la notizia di insoliti tornadi su Saturno. Nei giornali dell’epoca si stigmatizzava come le immagini della sonda NASA-ESA Cassini avessero permesso di individuare una gigantesca tempesta, grande due terzi del diametro terrestre, e che occupa 8000 km del Polo Sud di Saturno. La tempesta rappresentava una assoluta novità osservativa su pianeti che non siano la Terra ; aveva caratteristiche molto simili a quelle di un uragano anche se, come disse il dott. Andrew Ingersoll, membro della squadra Cassini, «Assomiglia ad un uragano, ma non si comporta come un uragano - Qualunque cosa sia, stiamo cercando di mettere a fuoco l'occhio di questa tempesta per scoprire perchè è là». Anche in questo caso, gli scienziati non sanno cosa pensare, né hanno idea dell’origine del bizzarro comportamento climatico dei pianeti.
Passa un anno e nel Marzo del 2007, sempre la sonda Cassini mostra le incredibili immagini di un nuovo uragano su Saturno, talmente grande da includere tutto il proprio polo nord. Ma la cosa incredibile è che questa volta la formazione ciclonica è di forma esagonale! «È una cosa molto strana, il ciclone ha una forma geometrica assolutamente precisa presentando 6 lati praticamente di proporzioni perfettamente identiche», affermò allora Kevin Baines, esperto atmosferico e membro del team che curava lo spettrometro ad infrarossi della sonda Cassini al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena. «Non abbiamo mai visto niente del genere su nessun altro pianeta. Anzi, la densa atmosfera di Saturno è dominata da onde che plasmano le nubi in modo circolare e celle convettive che fanno lo stesso lavoro, per cui è forse il pianeta del sistema solare in cui meno ti potresti aspettare l’apparizione di una formazione ciclonica in forma di una precisa figura geometrica a sei facce. Eppure è lì».
In che mani siamo? I sedicenti scienziati della NASA e dell’ESA che sono convintissimi di aver compreso ormai quasi tutto del nostro Sistema Solare e del ciclo vitale dei pianeti, ora balbettano frasi sconnesse, tutti allo stesso modo, scioccati da comportamenti planetari per loro assurdi. Eppure gli antichi sapevano che i pianeti sono paragonabili a degli esseri viventi, con dei loro ritmi vitali, e che ogni cosa nell’universo è collegata, specie i pianeti e le stelle. Per gli indiani d’America, ogni cosa, pianta, persona, animale e corpo celeste formano un tutt’uno. E i cambiamenti previsti dalle profezie Maya per il 2012 stranamente stanno collimando con un cambiamento climatico contemporaneo di tutti i pianeti del sistema solare. Forse un caso, forse un’evento isolato e scientificamente spiegabile. A tutt’ora, però, la scienza non sa dare risposte, né formulare teorie. A noi rimane solo di osservare il cielo con fiducia, aspettando il sorgere di un nuovo Sole.
Passa un anno e nel Marzo del 2007, sempre la sonda Cassini mostra le incredibili immagini di un nuovo uragano su Saturno, talmente grande da includere tutto il proprio polo nord. Ma la cosa incredibile è che questa volta la formazione ciclonica è di forma esagonale! «È una cosa molto strana, il ciclone ha una forma geometrica assolutamente precisa presentando 6 lati praticamente di proporzioni perfettamente identiche», affermò allora Kevin Baines, esperto atmosferico e membro del team che curava lo spettrometro ad infrarossi della sonda Cassini al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena. «Non abbiamo mai visto niente del genere su nessun altro pianeta. Anzi, la densa atmosfera di Saturno è dominata da onde che plasmano le nubi in modo circolare e celle convettive che fanno lo stesso lavoro, per cui è forse il pianeta del sistema solare in cui meno ti potresti aspettare l’apparizione di una formazione ciclonica in forma di una precisa figura geometrica a sei facce. Eppure è lì».
In che mani siamo? I sedicenti scienziati della NASA e dell’ESA che sono convintissimi di aver compreso ormai quasi tutto del nostro Sistema Solare e del ciclo vitale dei pianeti, ora balbettano frasi sconnesse, tutti allo stesso modo, scioccati da comportamenti planetari per loro assurdi. Eppure gli antichi sapevano che i pianeti sono paragonabili a degli esseri viventi, con dei loro ritmi vitali, e che ogni cosa nell’universo è collegata, specie i pianeti e le stelle. Per gli indiani d’America, ogni cosa, pianta, persona, animale e corpo celeste formano un tutt’uno. E i cambiamenti previsti dalle profezie Maya per il 2012 stranamente stanno collimando con un cambiamento climatico contemporaneo di tutti i pianeti del sistema solare. Forse un caso, forse un’evento isolato e scientificamente spiegabile. A tutt’ora, però, la scienza non sa dare risposte, né formulare teorie. A noi rimane solo di osservare il cielo con fiducia, aspettando il sorgere di un nuovo Sole.
«Allora, io ero la, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c'era l'intero cerchio del mondo. E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa, e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere. E io dico che il sacro cerchio del mio popolo era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio, largo come la luce del giorno e delle stelle, e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo di tutti i figli di un'unica madre ed in un unico padre. E io vidi che era sacro... E il centro del mondo è dovunque.»
- Alce Nero (Nicholas Black Elk) Oglala dei Teton Dakota, una delle divisioni più potenti della grande famiglia Sioux.
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